Scheda mostra
Imagine a Moving Image
testo critico di Ana Dević / WHW
La prima personale in Italia dell'artista croato Marko Tadić (Sisak, 1979), che si presenta come la più ampia rassegna del suo intero percorso. Nella visione di Tadić il mondo, ormai reduce dell’utopia modernista e socialista, si manifesta allo stadio miniaturizzato. Non si tratta tanto di un mondo fatto di cose, quanto delle macchine che le hanno mostrate o attraverso le quali ci sono apparse: il cinema, il museo, il display, la cartolina, ecc. Maquette espositive, piccoli schermi di proiezione, attrezzature sceniche e video-animazioni sono soltanto alcuni dei micro-dispositivi messi in campo nel lavoro di Tadić.
È come se tutti gli elementi di questa visibilità organizzata e istituzionalizzata, una volta usciti dalla Storia, fossero restituiti a uno stadio d’innocenza originaria. Ormai ci stanno accanto come docili arnesi e utensili quotidiani, senza sapere se registrino una perdita (quali testimoni del disincanto) oppure se siano pronti a rimettersi in gioco quali soggetti di un nuovo mistero (di un nuovo incanto).
Il rapporto tra immagini statiche e animate è il tema di una serie di collage e di disegni che esamina vari aspetti delle procedure cinematografiche.
Accumulation of the images from below (2013/2014) rivisita i resti del patrimonio del modernismo, in particolare quello socialista in Jugoslavia; il punto di vista adottato non è accademico né storico o teorico, ed è privo di qualsiasi nostalgia feticista. Valutando il passato come una “terra straniera”, questa serie (e la relativa opera Table of Contents (2015/2016) che impiega display espositivi e modelli più piccoli) ripercorre la storia della condizione modernista locale. Tadić ne decostruisce e ricostruisce il vocabolario da un punto di vista formalista, utilizzandolo come base di ricerca per una nuova genesi.
Tali opere sono create in primo luogo attraverso elementi visivi che giocano con i resti di idee costruttiviste e universaliste in materia di abitazione, progettazione, scienza e vita quotidiana, e sono legate in particolare ai modi di esporre. Questo è visibile nelle gallerie “tascabili”, ovvero proiezioni di strutture o modelli di visualizzazione in cui i frammenti del modernismo socialista sono presentati come opere d’arte. La video-animazione We used to call it: Moon , (2011/2012) è un lavoro affine che comprende una serie di collage e oggetti utilizzati come sfondo per una stop-animation. Facendo riferimento a diversi classici della letteratura fantascientifica come L’invenzione di Morel di Adolfo Bioy Casares e
Dalla Terra alla Luna di Jules Verne (che menzionano la scoperta del satellite allora sconosciuto, la seconda luna), alcune mappe illustrano come questa scoperta potrebbe essere stata trasmessa o omessa all’immaginario collettivo, e come la presunta luna potrebbe ancora determinare il nostro futuro.
Benché questi interventi abitino un mondo fantasma pieno di ambiguità, essi puntano anche a possibili echi di idee progressiste e di emancipazione dal passato. Ciò è particolarmente evidente nelle numerose animazioni dell’artista, tra cui Until a Breath of Air (2015) o Moving elements (2016), che rielaborano attivamente la tradizione della Scuola di Zagabria del Film d’Animazione, dagli Anni ‘50 già ai vertici della produzione internazionale. Il ritmo estremamente pittorico è ilprotagonista dei film di Tadić; la tecnica di animazione stop-motion
invece può essere letta come un processo che implica sia la formazione che la dissipazione di un mondo.
We used to call it moon 2, 2011
Courtesy: Laura Bulian Gallery