Scheda mostra
The White Hunter
a cura di Marco Scotini
La mostra, inaugurata in occasione di miart e della Milano Art Week, mette in dialogo opere di arte contemporanea con un nucleo di opere di arte antica tradizionale. Anche in Italia, l’arte africana viene così posta al centro dell’attenzione sulla scia dello straordinario interesse culturale e di mercato che sta riscuotendo a livello internazionale.
FM Centro per l'Arte Contemporanea ha presentato il terzo appuntamento del suo programma espositivo Il Cacciatore Bianco/The White Hunter. Memorie e rappresentazioni africane lo scorso 30 marzo,in occasione di miart e della Milano Art Week.
La nuova e ampia rassegna curata da Marco Scotini prosegue - dopo il successo delle precedenti L'Inarchiviabile, dedicata agli anni Settanta in Italia e Modernità non allineata, sullo spazio culturale jugoslavo durante la guerra fredda - un'indagine sulla decentralizzazione del modello egemonico e indiscusso della modernità artistica occidentale nell’attuale prospettiva geopolitica.
Il Cacciatore Bianco/The White Hunter non è tanto una mostra sull’arte africana quanto sulla costruzione che l’Occidente ne ha fatto. Come scrive Marco Scotini, curatore della mostra e direttore artistico di FM Centro per l’Arte Contemporanea: “La ricognizione parte da una critica radicale del nostro sguardo sull’Africa. Siamo sicuri che quello che ha visto il cacciatore bianco, all’inizio del secolo scorso, non continui ad essere ancora l’oggetto dal nostro sguardo? Ciò che dovrebbe risuonare per tutta la mostra è come lo sguardo (quello del cacciatore) sia risultato un fattore fondamentale nella costruzione di un’Alterità sottomessa. Si tratta di indagare allo stesso tempo le possibilità inassimilabili rimaste fuori”.
LA MOSTRA
Con oltre 30 artisti contemporanei e altrettanti anonimi artisti tradizionali per più di 150 opere, Il Cacciatore Bianco/The White Hunter presenta un percorso articolato sulle forme di rappresentazione e di ricostruzione della memoria e della contemporaneità africane, attraverso lavori provenienti - oltre che dalla Fondation Cartier pour l’art contemporain di Parigi - dalle maggiori collezioni private italiane e da raccolte archivistiche sulla storia coloniale italiana. Gli artisti si posizionano in una cartografia quasi completa del continente africano, attraverso 15 nazioni diverse: Tunisia, Algeria, Mali, Senegal, Sierra Leone, Costa D’Avorio, Ghana, Benin, Nigeria, Camerun, Congo, Kenya, Mozambico, Madagascar, Sudafrica.
L’introduzione alla mostra è affidata interamente a Pascale Marthine Tayou, che trasformerà l’ingresso allo spazio espositivo in una sorta di capanna stipata di cianfrusaglie, che vuole suggerire lo stereotipo dell’Africa nell’immaginario turistico.
La prima sezione è un flashback nell’Italia coloniale degli anni ’20 e ’30, riproposta attraverso il film Pays Barbare (2013) degli artisti Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi, pionieri nella ricostruzione archeologica per immagini dell’imperialismo e dell’ideologia della razza, che iniziano quest’opera con la citazione “Ethiopie, pour ce pays primitif et barbare, l'heure de la civilisation a désormais sonné.” Allo stesso modo Peter Friedl ripropone il modello di Carlo Enrico Rava per la fabbrica FIAT a Tripoli. Saranno presentate inoltre alcune rarità bibliofile e documenti: i libri di Francesco Tedesco Zammarano e di Carlo Piaggia, agli album fotografici sulla Libia e del Capitano Roberto di San Marzano. Oltre a Sammi Baloji, anche Kader Attia indaga sul passato coloniale in un’ottica di riappropriazione culturale, introducendo i feticci, le maschere, le tradizioni africane in continuo incontro-scontro con i volti deturpati dei reduci della Guerra Mondiale.
La seconda sezione è dedicata alle opere di arte antica tradizionale con laricostruzione della sala dedicata all’Arte Negra della Biennale di Venezia del 1922, agli albori del fascismo. Proponendo un nucleo di statue e maschere, provenienti dal Mali, dalla Costa d'Avorio, dal Camerun, dal Gabon e dal Congo,volto ad “evocare” quel momento storico e anche quella sensibilità estetica, a cui seguì una esclusione dell’arte africana dalle manifestazioni ufficiali fino a tempi recenti.
La terza sezione intende essere un riferimento diretto alla mostra Magiciens de la terre del 1989, una serie di campioni di quell’arte che veniva presentata ancora una volta come incontaminata, primitiva, originaria. Gli esempi vanno dalle bellissime terrecotte di Seni Awa Camara ai feticci di legno e aghi d’istrice di John Goba, dalle divinità Vodun di Cyprien Tokoudagba alle architetture immaginifiche di Bodys Isek Kingelez e alle pitture popolari del congolese Chéri Samba.
Nella quarta sezione vengono messe in campo le risposte alla questione sudafricana di artisti come William Kentridge - con una pluralità di linguaggi tra cui l’installazione video History of the Main Complaint (1996) o la rielaborazione del tema del feticcio tradizionale in Twilight of the Idols di Kendell Geers o le cartografie di Moshekwa Langa. La quarta sezione continua con diverse pratiche di riappropriazione e di resistenza a forme di esclusione, egemonia e omologazione, con opere di Yinka Shonibare, Rashid Johnson, Ouattara Watts, Cameron Platter, gli arazzi di El Anatsui e Abdoulaye Konaté.
La quinta sezione è dedicata alle morfologie della differenza, in cui troviamo figure ibridate e che si riconoscono nella condizione di migrante, dalla figura femminile frammentata di Wangechi Mutu, al cinema antimitologico e della memoria di John Akomfrah, ai musei itineranti di Meschac Gaba e gli archivi casuali e improvvisati di Georges Adéagbo. Una sezione dedicata alla fotografia storica con i ritratti di Seydou Keïta, le fotografie vintage di Malick Sidibé e gli autoritratti di Samuel Fosso.
Chiudono la mostra una serie di altre sezioni che toccheranno i temi dell’identità, della diaspora, della guerra con opere di Guy Tillim, Gonçalo Mabunda, Nidhal Chamekh, Nicholas Hlobo, Joël Andrianomearisoa. Alla fine, un enorme drappeggio del giovane artista ghanese Ibrahim Mahama lascerà lo spettatore con un accumulo di narrazioni collettive depositate sui sacchi di juta come tracce simboliche dello scambio aperto tra l’Africa e il mondo.
Il progetto, curato da Marco Scotini, si avvale di un comitato di advisor pluridisciplinare che comprende: Simon Njami, scrittore, curatore d’arte, direttore artistico della Biennale di Dakar 2016 e 2018, Gigi Pezzoli, africanista, Grazia Quaroni, senior curator, Fondation Cartier pour l’art contemporain, Parigi, Adama Sanneh, direttore dei programmi, Fondazione lettera27.
La mostra è accompagnata da una programmazione di seminari, conferenze e screening realizzate in collaborazione con Fondazione lettera27, Festival del Cinema Africano di Milano, Biennale di Lubumbashi, Centro Studi Archeologia Africana, NABA – Nuova Accademia di Belle Arti, e altri enti.
Artisti:
John Akomfrah, Georges Adéagbo, Joël Andrianomearisoa, El Anatsui, Kader Attia, Sammy Baloji, Fréderic Brouly Bouabré, Seni Awa Camara, Nidhal Chamekh, Samuel Fosso, Peter Friedl, Meschac Gaba, Kendell Geers, Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi, John Goba, Nicholas Hlobo, Bodys Isek Kingelez, Rashid Johnson, Seydou Keïta, William Kentdrige, Abdoulaye Konaté, Moshekwa Langa, Gonçalo Mabunda, Ibrahim Mahama, Wangechi Mutu, Maurice Pefura, Cameron Platter, Robin Rhode, Chéri Samba, Yinka Shonibare, Malick Sidibé, Pascale Marthine Tayou, Guy Tillim, Cyprien Tokoudagba, Ouattara Watts, Lynette Yiadom-Boakye.
Collezioni:
AGI Verona Collection, Collezione Denise e Beppe Berna, Collezione Lino Baldini, Collezione Giorgio Bassi, Collezione Rosario Bifulco, Collezione Pierangelo Bonomi, Collezione A. e V. M. Carini, Fondation Cartier pour l’art contemporain, Collezione Consolandi, Collezione Erminia Di Biase, Collezione Nunzia e Vittorio Gaddi, Collezione Laura e Luigi Giordano, Collezione Giuseppe Iannaccone, Collezione La Gaia, Collezione Lavelli, Collezione Ligabue, Collezione Emilio e Luisa Marinoni, Collezione Angelo Miccoli, Collezione Ettore Molinario, Collezione Germano Montanari, Nomas Foundation, Collezione Pierluigi Peroni, Collezione Elio ed Onda Revera, Collezione Enea Righi, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Collezione Andrea Sandoli, Collezione Guido, Schlinkert, Collezione Gian Luca Sghedoni, Collezione Vincenzo Taranto, Collezione Gemma De Angelis Testa, Collezione Vigorelli.
FM Centro per l’Arte Contemporanea di Milano è un nuovo spazio espositivo dedicato all’arte e al collezionismo in grado di rispondere alle nuove modalità di presentazione della Collezione e delle differenti forme della creazione contemporanea. La sua vocazione è quella di una struttura che raccoglie in un unico contesto tutti i soggetti e le funzioni connesse alla valorizzazione dell’arte, alla sua esposizione e conservazione. Quale spazio espositivo, deposito, istituto di ricerca e centro di restauro, attivando un programma culturale ed educativo innovativo, FM ospita collezioni private e archivi d’artista.
Situato all’interno dello storico complesso industriale dei Frigoriferi Milanesi, FM Centro per l’Arte Contemporanea, sotto la direzione artistica di Marco Scotini, è presieduto da un board internazionale di esperti tra cui Vasif Kortun (Director of Research and Program, SALT, Istanbul), Grazia Quaroni (Senior Curator / Head of Collections, Fondation Cartier pour l’art contemporain, Paris), Charles Esche (Director, Van Abbemuseum, Eindhoven), Hou Hanru (direttore artistico, MAXXI, Roma) e Enea Righi (collezionista). FM è un nuovo spazio per l’arte contemporanea, capace di sviluppare nuovi modelli espositivi e museali con un approccio sperimentale alle forme di produzione artistica contemporanea e alla valorizzazione della Collezione in tutti i suoi aspetti funzionali e culturali.
Il progetto FM Centro per l’Arte Contemporanea è sostenuto da Open Care – Servizi per l’Arte (Gruppo Bastogi).
Il Cacciatore Bianco / The White Hunter. Memorie e rappresentazioni africane, a cura di Marco Scotini
31.03.2017 – 06.06.2017
La mostra sarà aperta fino al 06.06.2017, dal mercoledì al sabato, dalle 14.00 alle 19.30.